Nella Madonie, in Sicilia, vive e opera un’eccellenza dell’artigianato siciliano
Fabrizio Fazio, gangitano trentasettenne e produttore storico (nonostante l’età) di tamburi, è un fiume in piena.
Origini mitiche e identità culturale
D’altronde Gangi, la sua città d’origine dove ci accoglie calorosamente, prendeva il nome da una sorgente, Engio, da cui i cretesi presero spunto per battezzare la propria colonia in Sicilia: Engyum. Non si sa se fosse nello stesso luogo dell’attuale Gangi, ma da quella leggendaria città di montagna fondata dai cretesi – ovvero la Civiltà Minoica che, per intendersi, precedette quella Micenea greca – prende il nome del comune di Fabrizio. Che ormai è diventato così famoso da poter rivaleggiare sia con Minosse che con Gangi stessa.
Ospitalità e rinascita turistica
Lo incontriamo appena arrivati, ed entusiasta ci dice: “Benvenuti! Ci aspetta il sindaco!”. Così, d’improvviso, ci ritroviamo di fronte al primo cittadino del piccolo comune di Gangi. Siamo ancora una volta nelle Madonie siciliane, in questo caso però nella parte più in quota, le “Alte Madonie”. Un piccolo gioiello nell’entroterra della Sicilia, dove non mancano cultura, ottimo cibo – famosa la carne – e temperature miti nei periodi più caldi. Paese curatissimo, pulito e molto ospitale, è noto anche per la vendita di case al prezzo simbolico di un euro. “L’unica clausola è che vengano ristrutturate entro tre anni”, ci dice il sindaco Giuseppe Ferrarello. Gangi è stato l’unico comune siciliano ad essere nominato fra i “Gioielli d’Italia” e ha visto una meritata ascesa che lo ha portato dai 30 posti letto per visitatori del 2007 ai 700 attuali.
“Primo cittadino e il secondo, se permettete, lo faccio io!”, chiosa Fabrizio. Salutiamo, ringraziamo dell’incontro e ci avviamo verso un meticoloso giro del paese di quasi seimila abitanti. Gangi è un dedalo di vie intricate, fatte di sali e scendi repentini, scale e piccoli passaggi sotterranei dove passavano i noti banditi che operavano nell’area. Fabrizio ci fa visitare due delle chiese principali del paese, tra cui la più importante è la chiesa madre, intitolata a San Nicola di Bari. Bella la chiesa e impressionante la cripta, dove sono esposti i corpi di un centinaio di ecclesiastici mummificati; anche questo un unicum per l’ottimo (sic!) stato di conservazione delle teste dei defunti. Particolare macabro che arricchisce la vasta offerta culturale e museale del piccolo paese.

L’altra chiesa che visitiamo è quella di San Cataldo, patrono di Gangi. La dimensione religiosa e di leggenda è molto forte, si percepisce da subito. Innumerevoli gli aneddoti di cui Fabrizio si fa portavoce. “Se, dopo essere stato portato in processione, San Cataldo non viene riportato nella sua chiesa, si fa ritrovare in una strada dissestata e con l’erba alta”. “Non so con certezza se sia accaduto, ma” aggiunge “una cosa è successa sicuro”. “Tutte le estati si va a prendere il patrono, che viene sistemato su un furgone per portarlo nel luogo da cui parte la processione. Una volta messo il santo nel portabagagli, puntualmente, ogni anno, il motore del furgone non parte. Con il pieno di benzina e perfettamente funzionante”.
La Capra Canta
Dopo il piacevole giro, arriviamo nella piccola bottega di tamburi, la Capra Canta. Un’eccellenza mondiale dalla quale spedisce esemplari letteralmente ovunque, dalla California alla Corea del Sud. Tantissimi anche i personaggi famosi che ha incontrato e che ha rifornito dei suoi apprezzati strumenti musicali, sui quali non adopera false modestie. “Ho avuto la fortuna che la montagna si sia spostata da Maometto, poi con la mia attività posso fare vendite online. Il macellaio come fa a mandare la salsiccia? E il barbiere che fa, ci manda i forbici?”. E quando racconta la sua arte, scopriamo che anche in questo caso Fabrizio la avvolge di una dimensione mitica ed esoterica.

Fabrizio dice di realizzare “la voce del tamburo nella pelle di capra”. Che, fuor di metafora, significa che dalla pelle di capra, elemento principale dei suoi strumenti, viene generato il suono del tamburo. E aggiunge “si utilizza l’antica pergamena lavorata una volta al mese col vento di tramontana. Come il ciclo mestruale per le donne o l’alta marea, la luna riflette la sua luce e il mare si alza. Allo stesso modo, il tamburo e pronto una volta al mese, gli ultimi li ho realizzati l’8 agosto, i prossimi saranno pronti il 7 settembre. Un giorno antecedente al mese precedente”. Calce idrata, soda caustica e pietra pomice, questi alcuni degli elementi che usa per trattare le pelli. I piattelli sono invece realizzati ricavando il materiale dalle latte di pomodoro. Così avviene la magia, che non è però altro che duro lavoro, spesso anche notturno.
Orgoglio, fatica e futuro
Il perché Fabrizio abbia iniziato senza maestri o mentori la produzione di questo strumento è – questa volta per lui stesso – un altro mistero. A 4 anni c’è già una sua foto in cui regge in mano un tamburo in plastica, poi sempre la stessa passione coltivata sostanzialmente da autodidatta. Forse fu uno zio o, addirittura, lui dice, dalla pancia della madre sentiva i suoni dei tamburi delle processioni. Fatto sta, che il mito di Fabrizio è più vivo che mai: patrimonio dell’Unesco e Registro delle Eredità Immateriali della Regione Siciliana sono alcune delle onorificenze ricevute. Documentari andati in onda ovunque, più volte in Italia poi per la BBC e in Giappone, “anche se non ci ho capito niente”, dice scherzando.
Avviandomi alla conclusione della nostra chiacchierata, gli chiedo se questa fama lo abbia inorgoglito e come lo faccia sentire. Nella risposta si fa un po’ più serio. “A me non è cambiato niente, anzi lavoro e sudo più di prima. Certo mi fa piacere che il mio lavoro venga riconosciuto. Ma se anche dovessi morire adesso e questo fosse l’ultimo piattello che ho realizzato voglio donare la mia bottega al comune di Gangi”. Un pensiero molto bello, anche se precoce, quello di Fabrizio. Che a trentasette anni è un’eccellenza non solo di Gangi, ma di tutta la Sicilia.