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La Manna: la resina che non proviene dal cielo, ma dalle Madonie, in Sicilia

di Giuliano Lodato

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Dolce e dalle incredibili proprietà, questo materiale si estrae dai frassini. Oggi rischia l’estinzione

Man hu’

Durante l’Esodo degli ebrei narrato nella Bibbia, il popolo di Israele si trovava stanco e affamato nei pressi del Monte Sinai, in fuga dalla schiavitù cui era sottoposto in Egitto. Dopo diversi giorni di carestia, un mattino gli ebrei trovarono una particolare rugiada nei pressi dell’accampamento dove si erano rifugiati. “Man hu”, “che cos’è?”, esclamarono: era la manna, una manna del cielo che Dio aveva mandato per sfamarli. Una miracolosa e misteriosa sostanza che li avrebbe cibati per i quarant’anni della loro migrazione fino all’arrivo nella terra di Canaan. Da “man hu”, deriva manna.

“focaccia al miele”

Oggi, a distanza di qualche millennio, quella particolare rugiada granulosa, come venne descritta nella Bibbia, viene prodotta nelle Madonie siciliane, splendida catena montuosa situata vicino Cefalù e non distante da Palermo. Il peculiare alimento che sfamò gli ebrei era “simile al seme del coriandolo” e di colore “bianco” con il sapore di una “focaccia al miele”. E anche se forse si tratta di un cibo diverso rispetto a quello biblico, non è neanche troppo dissimile. In quella che abbiamo avuto il piacere di provare, non si rintracciano sapori di focaccia… sì di miele, e anche di mandorla, noce e cocco. Un alimento che è all’altezza della sua leggenda miracolosa, per bontà e proprietà. Ogni pezzo ha poi un sapore leggermente diverso dall’altro, un’unicità nell’unicità. Stando al racconto biblico, Dio la fece piovere sugli ebrei per decenni, oggi viene prodotta solo nei due paesi di Castelbuono e Pollina da una risicata ventina di produttori, forse diciotto. Nel resto del mondo non esiste: un vero e proprio peccato, parola che calza a pennello, a maggior ragione se si considerano le sue straordinarie proprietà.

Mario Cicero

A guidarci nell’incredibile mondo della manna è stato Mario Cicero, storico produttore nei pressi di Castelbuono. Con i suoi 600 frassini curati con meticolosità e tecniche precisissime, Mario è uno dei più grossi produttori dell’area. Per tutto l’anno si occupa dei suoi alberi, fino al periodo estivo, dove il lavoro si intensifica e la resina viene estratta con incisioni fatte sulla corteccia. Esce sottoforma di gocce liquide per poi solidificarsi attorno a un filo di nylon appositamente messo sotto l’incisione. Questo “nettare degli dèi”, uno dei modi in cui viene chiamata la manna, viene fatta fuoriuscire dai tronchi nelle ore più fresche della giornata, preferibilmente al mattino presto, altrimenti alla sera. Poche ore dopo essere uscita dal frassino, la manna si solidifica, spesso in forma longilinea; viene poi essiccata in un ambiente asciutto ed è pronta per essere consumata. Un regalo meraviglioso della terra, dal sapore unico e piacevole e dalle proprietà benefiche.

La manna, oltre ad avere un ottimo gusto, è un dolcificante naturale che può essere consumato dai diabetici. È composta prevalentemente da mannitolo, glucosio, fruttosio e oligosaccaridi, può essere usata per ottenere effetti lassativi se sciolta in acqua o latte tiepidi, allevia la tosse e la gastrite. In passato gli arabi la usavano anche per rendere più lucido il pelo dei propri cavalli. È poi un ottimo ingrediente per i dolci, anche se ha scarsa applicazione a causa della pochissima quantità su cui si può fare affidamento. Il mannitolo è anche usato molto in cosmetica, ma per lo stesso motivo che ne frena l’uso in gastronomia, è scarso il suo utilizzo. Come ci racconta Mario con la precisione di chi conosce a menadito un campo così pratico come quello dell’agricoltura, la manna ha regole semplici, anche se molto rigide.

Il processo

Prima fra tutte: prolifera quando l’albero è carente di acqua, motivo per cui alla prima pioggia forte dell’estate, la produzione si interrompe. Stessa ragione sta alla base del periodo di estrazione, quello estivo, in cui la pianta in assenza di acqua produce questa particolarissima linfa. Nel meraviglioso viaggio in cui Mario ci conduce, a colpire è il suo rapporto con la totalità dell’ecosistema che cura, a partire dagli alberi, passando per la terra e gli insetti che lo abitano. Non è raro sentirgli dire “come dicono loro”, per riferirsi ai frassini, o ai calabroni e alle formiche. Particolarissimo, e surrogato da evidenze precise, è il suo rapporto con questi insetti. Nei venticinque anni in cui ha estratto manna, solo in una occasione è stato punto da un calabrone, pur essendo strapieno tutto il terreno. I calabroni sono un misto di temibili nemici e collaboratori: quando si avvicinano all’albero significa che vale la pena provare a fare l’incisione sul tronco, rimane comunque un’incognita se poi uscirà la resina, ma i calabroni sembrano abbastanza precisi. “La tentazione è sempre quella di incidere – ci dice Mario -, ma poi rischi di farla a vuoto”. Una scommessa in cui il rischio è abbassato solo dall’esperienza.

I calabroni poi rimproverano Mario quando arriva in ritardo, gli sbattono sulla testa in segno di protesta, perché del nettare si cibano anche loro. E di Mario hanno bisogno, mettersi in proprio risulta molto stancante, si tratta di bucherellare faticosamente con il proprio pungiglione. Il loro amico umano si approccia agli alberi sempre dallo stesso lato, per farsi riconoscere e scongiurare scontri con l’animale volante, ma aggiunge “qui devo comandare io, a costo di alzare la voce. Chissà cosa penserà il mio vicino…”. C’è da credergli, visto il numero di calabroni che poggiano continuamente su tutte le sue piante, è incredibile pensare che sia stato punto una sola volta.

Simile il rapporto con le formiche. Di cui nel terreno ce ne sono sette specie diverse, ognuna delle quali si avvicina all’albero in momenti precisi della sua maturazione, segnalando il momento in cui conviene fare l’incisione: se si avvicina un tipo conviene aspettare una quindicina di giorni, se a poggiarsi è un altro ne mancano sette, e così via. Su questi e altri indicatori, si decide quando incidere, e vedere cosa ha in serbo il tronco.

Un lavoro manuale, meticoloso, di passione e dalla fortissima componente simbiotica con la natura. Una produzione che Mario ha abbracciato in prima persona rifuggendo dal lavoro nelle cucine dei ristoranti, che ha frequentato in giro per l’Italia e in America. Ed è proprio all’America che si rivolge per trovare nuovi terreni dove espandere consistentemente la produzione. “La manna rischia di estinguersi, ho iniziato 25 anni fa e siamo sempre gli stessi a produrla. Oggi non si arriva alla tonnellata complessiva, fino agli anni ’40 c’erano produttori che da soli ne facevano due”, poi la produzione è iniziata a calare, fino ad adesso, che rischia di finire, forse per sempre. Un’eventualità a cui Mario non vuole rassegnarsi, i parametri sono semplici: temperature di massima fra i 28 e i 32 gradi, ed umidità fra il 40% e il 60%. I cambi climatici stanno rendendo sempre più difficile produrla nella sua area.

“Certo, il guadagno economico mi fa comodo, ma non mi danno. Se l’annata non va al meglio, per me è comunque andata bene: sono stato qui e ho vissuto in pace con me stesso e con la natura”.

Anche in questo caso bisogna credergli.

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